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06 ottobre 2007

A 40 anni della morte del Che


Marzo 1965. Il ministro cubano Ernesto Guevara si fa copiare una poesia dal suo segretario, prima di restituire il libro (Todo el amor) all'amico scrittore Retamar. La lirica si intitola "Farewell" ed è di Pablo Neruda.

Una poesia struggente, d'amore e di commiato. Dopo qualche giorno il ministro parte per la prossima rivoluzione, non tornerà più a Cuba. Parte e mette nello zaino quella poesia, insieme a diverse altre evidentemente. Due anni dopo, l'8 Ottobre 1967, nella scuola de La Higuera, dove giace ferito, entra una maestra, probabilmente l'unica persona che osa dimostrargli affetto, a portargli un piatto di minestra. Pare che le ultime parole, dette proprio a quella maestra, siano una battuta. Indicando una frase scritta alla lavagna, il Comandante ferito dice che c'è un errore, manca un accento (yo sé leer invece che yo se leer).

Ecco, è difficile trovare le parole per dirlo, ma io credo che in questi due episodi si riveli tutta la grandezza e la nobiltà di un ideale. È difficile esprimersi, oggi che a New York (secondo un articolo del Time), e quindi anche in tutto il resto del mondo, si può vivere conoscendo e usando solo 50 parole. Oggi che l'ideale più diffuso è quello del fitness. L'ideale del corpo magro.

L'ideale della vita che si allunga fino a cent'anni. L'ideale dei teocon e dei teodem. L'ideale dei neo-seguaci di Grillo. E tutta l'interminabile lista degli ideali ridicoli che ci circondano.
Difficile trovare le parole. Magari affidarsi a due versi di quella poesia, Farewell:
"Ma dove andrò porterò il tuo sguardo
e dove camminerai porterai il mio dolore."

9 Ottobre 2007 Hasta siempre Comandante!

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